Qualche tempo fa, nella mia veste di genitore, mi imbattei nella lettura di un libro che parla del gioco: “Il gioco è una cosa seria” di Aldo Volpi.
In questo libro si sottolinea come la qualità del gioco incida in modo rilevante nei processi relazionali, affettivi e cognitivi.
Durante la lettura, la mia veste di genitore lasciò lo spazio a quella di professionista del mondo “risorse umane”, termine a cui preferisco di gran lunga il più comune “persone”. A questo cambio di veste, sono stato sollecitato da una parola che ormai è onnipresente nella nostra vita, lavorativa e non, ossia Gamification.
Come spesso accade, il semplice fatto che il termine sia diffuso, non significa necessariamente che si abbia una profonda comprensione del senso che il termine porta con se e dell’impatto che avrà su di noi.
La miglior descrizione di questo fenomeno l’ho trovata in un altro libro, “Il potere della Gamification” di Vincenzo Petruzzi, nel quale si trova la traduzione di una parte del discorso che Jesse Shell, videogame designer di grande successo, tenne nel febbraio del 2010:
“Ti sveglierai al mattino e mentre lavi i denti il tuo spazzolino sarà dotato di un sensore in grado di percepire che ti stai lavando i denti. Ben fatto! 10 punti per aver lavato i denti. Non solo: lo spazzolino potrà anche misurare per quanto tempo lo fai. Devi farlo per almeno 3 minuti e se lo fai… c’è un bonus per te! Hai lavato i denti tutti i giorni della settimana? Ecco in arrivo un altro bonus!
A chi importa? Alle aziende produttrici di dentifricio e di spazzolini. Più spazzoli, più consumi dentifricio e spazzolino. C’è un interesse economico in questo.
Fai colazione con i corn flakes e sul retro c’è un piccolo web game che puoi giocare mentre mangi. Poi si scopre che puoi vedere la lista dei tuoi amici che mangiano gli stessi corn flakes e il punteggio che loro hanno realizzato allo stesso gioco perché sei connesso a Facebook tramite wi-fi e puoi accumulare punti se batti uno dei tuoi amici.
Dopo la colazione, vai a prendere il bus per andare a lavoro. Perché il bus e non l’auto? Perché il Governo sta incentivando l’utilizzo dei mezzi pubblici attraverso un sistema di punti che gli utenti potranno usare per ottenere sgravi fiscali.”.
Questo scenario ci fa comprendere in modo intuitivo, ciò che gli studi neuroscentifici hanno evidenziato senza ombra di dubbio, ossia il fatto che questo approccio possa incidere profondamente su ciò che decidiamo di fare o di non fare. La differenza sta nel come incidono, ossia in maniera non coercitiva.
La Gamification incide sulle nostre convinzioni, le quali aprono o chiudono la possibilità di sviluppare specifiche abilità, che a loro volta rendono possibili specifici comportamenti. È facile vedere il potere che questo nuovo modo di procedere porta con se.
Proprio il fatto che alla base di questo processo vi siano coinvolgimento, volontarietà, interattività e socialità fa si che non siano solo le “generazioni digitali” ad esserne toccate. Anche le generazioni precedenti fanno parte sempre più spesso di questo fenomeno.
Perché un’azienda dovrebbe interessarsi a questo mondo? Tento una risposta semplice, che affonda le sue radici nell’osservazione che negli ultimi venti anni ho fatto delle aziende e dei loro processi. Perché esiste una profonda differenza tra obbligare qualcuno a svolgere un compito, raggiungere un obiettivo, rispettare una regola e motivare la stessa persona a realizzare le stesse cose.
Si tratta di una differenza che tocca tutte le fasi della vita aziendale e che ne cambia radicalmente la cultura.
Johan Huizinga, autore del famoso saggio Homo Ludens, afferma che “si possono negare quasi tutte le astrazioni: la giustizia, la bellezza, la verità, la bontà, lo spirito, Dio. Si può negare la serietà… ma non si può negare il gioco.”.
Ed ecco che la veste di professionista sfuma, per tornare a quella di genitore, che nota quindi il continuo assottigliarsi del confine tra adulto e bambino, tra presente e futuro.