Leggo con maggior frequenza, negli ultimi mesi, post di professionisti delusi, dispiaciuti e talvolta infastiditi dall’aumento, su linkedin, dei cosiddetti “commentatori seriali” o “leoni da tastiera” che insultano, dileggiano, si autorizzano a prendere posizioni nette, tranchant, senza il minimo sforzo di comprensione o integrazione rispetto alle opinioni differenti dalle proprie.
Nel saggio “Psicologia delle masse a analisi dell’Io”, Freud prende atto del fatto che nessun essere umano tollera una vicinanza troppo intima dell’altro:
“quasi ogni stretto rapporto emotivo sufficientemente durevole tra due persone […] contiene un sedimento di sentimenti di avversione, di ostilità, sedimento che rimane impercettibile solo in virtù della rimozione. La cosa appare più evidente se consideriamo che ogni socio litiga col proprio socio, ogni subalterno brontola contro i propri superiori. Lo stesso accade allorché gli uomini si riuniscono in unità più grandi. Ogni volta che due famiglie si riuniscono tramite un vincolo matrimoniale, ognuna di esse si ritiene migliore o più distinta dell’altra. Di due città vicine, ognuna è la più malevola concorrente dell’altra; ogni piccolo cantone considera con sufficienza il cantone vicino. […] è […] innegabile che in tale comportamento umano si manifesta una disposizione all’odio e un’aggressività la cui origine ci è sconosciuta e a cui siamo inclini ad attribuire un carattere elementare”. (Freud, 1921, pp. 47-48).
Premetto che anche io ritengo che il fenomeno dei “leoni da tastiera” sia in costante aumento su questo social, finora relativamente immune a questa “piaga dilagante”. Mi interrogo però sul senso di ciò, cercando di resistere al contempo a spiegazioni semplici e pericolosamente “speculari”, cioè che reiterano lo stesso comportamento che vorrebbero censurare… Ritengo infatti che “indignarsi” di fronte ad un post, per quanto senza dubbio aggressivo, insultante e intollerabile, o, peggio, insultarne l’autore di rimando, significhi finire per giocare esattamente la stessa partita che il provocatore (inconsciamente, certo, non attribuiamogli più intelligenza di quanta non ne abbia…) vuole giocare, quella dello scontro aperto, del conflitto insanabile, del tutti contro tutti.
Molti, su Linkedin, sostengono che questo social stia cambiando, che non sia più l’ambiente che era prima, professionale e di profilo più “alto” rispetto al più popolare Facebook, luogo invece di perdizione in cui le emozioni più primitive e un linguaggio becero la fanno ormai da padroni. Concordo con questa affermazione, ma… C’è un ma. Non sono sicuro che tutto ciò sia un male. Freud ci insegna che due persone faticano a stare vicine a lungo, figuriamoci quando si è in gruppo. I social ci permettono di stare “vicino” a molte persone contemporaneamente. Ci consentono di conoscerne le opinioni, i pensieri, gli ideali, i gusti, i vissuti in modo plateale, non filtrato, spesso ostentato dalla credenza, illusoria, che lo strumento digitale sia meno invasivo, meno coinvolgente, meno probante della comunicazione vis a vis, della relazione “dal vivo”. Ci permettiamo di più, insomma, dietro una tastiera, comodamente seduti a casa o alla scrivania di un ufficio, piuttosto che di fronte a qualcuno.
Ma è questo ciò che siamo… Quando abbiamo l’interlocutore davanti ci freniamo, inibiamo alcuni comportamenti che invece escono fuori davanti ai tasti. Questo certo è spiacevole, si traduce in un aumento di aggressività imprevisto, difficile da comprendere e da elaborare, difficile da accettare. Ma almeno squarcia il velo di ipocrisia che ammanta le mille riunioni organizzative in cui ci si “lovva” davanti per poi mandarsi a quel paese una volta voltate le spalle. Ci apre gli occhi sulla realtà, almeno su una parte di essa. E, “finalmente”, se anche su linkedin si è arrivati a tanto, allora, forse, significa che anche qui si comincia a far sul serio. Dove questo “sul serio”, sia ben chiaro, non mi piace. Per niente. Ma almeno si mostra per ciò che è, senza ipocrisie o menzogne.
Se mi “indigno” per come è la realtà, forse non sono in grado di capirla, tantomeno di accettarne la sua parte migliore e di lottare per migliorarne la peggiore. Forse, se mi indigno, ne sono “indegno”. O mi sento superiore. Che è la stessa cosa…