Il fenomeno del “blind recruitment”, dai Talent Show all’azienda: utile tecnica o moda passeggera?

Chiunque abbia affrontato nella propria vita un esame, un colloquio, un semplice “primo incontro” sa bene che le discriminazioni esistono eccome!

Dalle chiacchierate da bar ai post sui social, dati personali come l’origine etnica, l’appartenenza di genere, quella politica o religiosa, il livello di istruzione, l’età e persino il semplice nome delle persone crea negli interlocutori un pregiudizio che influenza in modo determinante il nostro approccio nel prendere una decisione.

Uno studio del National Bureau of Economic research degli Stati Uniti ha evidenziato come le persone con nomi riconducibili da un’origine straniera debbano inviare il 50% dei cv in più rispetto a un “bianco” per avere l’opportunità di un colloquio di lavoro. Un’altra ricerca della Princeton University dimostra come, a parità di cv, i candidati maschili siano valutati maggiormente competenti rispetto alle donne.

Sono i cosiddetti “bias cognitivi” (dall’inglese bias, obliquo, inclinato), veri e propri costrutti della mente, fondati su percezioni errate o deformate, su pregiudizi e ideologie, che ci fanno agire al di fuori della logica critica razionale e che vengono frequentemente utilizzati per prendere decisioni in fretta e senza fatica.

Il Blind recruitment è una tecnica di selezione in cui il selezionatore, prima di leggere i cv, elimina alcune informazioni dei candidati quali ad esempio nome, genere, età, educazione, razza ecc… per limitare il più possibile i pregiudizi nella scelta.

Alcune multinazionali come Deloitte, HSBC e BBC, la stanno usando da tempo.

Uno dei primi esempi di blind recruitment risale al 1980 e vide coinvolta la Toronto Symphony Orchestra, sino a quel momento composta quasi esclusivamente da uomini. Constatata la mancanza di differenziazione al suo interno, i selezionatori dei musicisti provarono ad applicare un diverso metodo per reclutare i loro membri, svolgendo le audizioni dietro a uno schermo, in modo che i selezionatori non potessero osservare i candidati, ma solamente sentirli suonare, modalità resa nota al pubblico televisivo da un fortunato format di talent show. Il risultato fu un rinnovamento intenso che portò ad un’orchestra composta al 50% da uomini e al 50% da donne, molto più diversificata in qualità e musicalmente superiore alla precedente.

Senza dubbio il blind recruiting consente di limitare i pregiudizi e le assunzioni ingiuste, in un mondo del lavoro in cui continuano ad esserci forti discriminazioni e disuguaglianze, ma anche questa modalità ha qualche punto debole…

Se un’azienda stesse cercando di aumentare l’equilibrio di genere o raggiungere altri obiettivi di diversità tra i propri dipendenti, il blind recruiting potrebbe non portare ai risultati sperati, inoltre la rimozione dei dettagli di identificazione da ogni cv allungherà la fase di screening.

Non c’è dubbio però che si tratti di un modo efficace per superare pregiudizi e preconcetti che possono inficiare l’intero processo di selezione dei candidati.

Blind Recruitment

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