Happy workers, happy bonuses

Ho già scritto sul MBO recentemente ma vorrei oggi riassumere la discussione che si è generata, interessante su Linkedin in seguito ai miei articoli.
Da quando Peter Drucker, autore di fama mondiale per le sue opere sulle teorie di gestione aziendale, per oltre vent’anni docente di Management alla Graduate Business School di New York, coniò il termine e il modello del MBO (Management By Objectives), molta acqua è passata sotto i ponti delle organizzazioni e dei relativi modi di gestirle.

La sua declaratoria a riguardo fu chiara e, per gli anni cinquanta, epoca in cui ne pubblicò dei saggi, anche molto innovativa: “Solo avendo obiettivi si sa dove far andare l’impresa; solo dichiarandoli si può impegnare il management a raggiungerli; solo migliorandoli si può premiare (o punire) il management per quel che ha fatto”.

E oggi? Sono ancora validi gli assunti di base del management secondo Drucker? Sembra di no.

Oggi dal genitore originario, l’MBO appunto, sono nati talmente tanti figli che si fa fatica persino a contarli, talvolta a distinguerli l’uno dall’altro, sicuramente a capire chi tra di loro sia il “migliore”: si parla di MBP (Management By Processes ma anche Management By Policies e ancora Management By Projects e per qualcuno Management By Performances…), passando dal MBWA (Management By Wondering Around) per terminare col MBR (Management by Results)…

Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza insieme?

Quale o quali tra i modelli di management esistenti è ancora possibile ritenere validi oggi?
I modelli prevalentemente burocratici, come ad esempio quello denominato MBI (Management By Instructions), per poter funzionare hanno bisogno di trovarsi all’interno di sistemi e scenari relativamente stabili e ricorsivi. Cambiamento costante, innovazione, instabilità strutturale, parole d’ordine dei nostri tempi, sono elementi inconciliabili con l’applicazione di un modello di MBI.
Già una cinquantina di anni fa Peter Drucker ritenne indispensabile pensare e proporre criteri di gestione innovativi che, senza per forza ripudiare completamente l’autorevole e rodato genitore, fossero più consoni alle esigenze di una impresa che cambia.
È così che dal MBI nacque l’MBO, a sua volta padre indiscusso del celeberrimo “budget”, diffusosi rapidamente in tutte le migliori organizzazioni mondiali.

Oggi, dopo oltre 50 anni di continua applicazione e sperimentazione “sul campo” del modello MBO, possiamo agevolmente indicare i plus e i minus della “direzione per obiettivi” ed è possibile quindi rispondere ad una semplice domanda: valgono ancora oggi le pre-condizioni poste da Drucker nel modello MBO?

In concreto:
1. un’organizzazione sa in che direzione andare?
2. Sa cosa chiedere al management?
3. Sa come valutarlo sui risultati?
La risposta, altrettanto semplice, è… NO. Capiamo insieme perché?

La precondizione più cara a Drucker per l’applicazione del MBO, è oggi esattamente quella più disattesa: le organizzazioni sono sempre meno capaci di definire con chiarezza “dove si va” e anche le ipotesi su “dove si potrebbe andare” mostrano tassi di incertezza sempre più elevati e organizzativamente “intollerabili”.

Questa però non è l’unica critica mossa al modello MBO. Le principali motivazioni che hanno spinto le aziende a interrogarsi sulla validità del modello druckeriano sono, come sempre, prima economiche che etiche:
1. col tempo l’MBO, nel percepito di manager e collaboratori, si è ridotto ad uno strumento di mera elargizione di denaro supplementare sulla base della (errata, ma ne parleremo in seguito…) convinzione che ciò sia sempre di stimolo e di motivazione per i collaboratori;
2. l’MBO rimane circoscritto a ristretti ambiti manageriali, non applicabile a livelli più bassi dell’organizzazione;
3. l’MBO viene percepito come uno strumento di pressione dell’organizzazione sull’individuo, in base al principio della sfrenata competizione individuale in cui vince chi riesce a “sfruttare” il più possibile i propri collaboratori;
4. l’MBO appiattirebbe troppo gli obiettivi personali sugli obiettivi generali dell’impresa;
5. infine, uno stile di direzione senza regole di solidarietà produce costi umani che alla fine sono negativi anche per l’impresa stessa.#

Allora l’MBO è da buttare? Secondo molti esperti e analisti no, ma per poter essere ancora efficace deve essere modificato in alcuni aspetti.

Più precisamente sarebbe auspicabile, oltre che necessario:
1. attribuire obiettivi strutturati su base trimestrale e non più annuale: l’aspettativa di obiettivi sostenibili nell’intero anno (obiettivi che devono poi essere puntualmente modificati in corso d’opera) è illusoria e perniciosa, oltre che fortemente demotivante;
2. attribuire obiettivi con la “clausola” di rivederli e rinegoziarli in caso di mutamento significativo di situazioni e condizioni, cosa peraltro altamente probabile nel contesto attuale;
3. attribuire obiettivi con un certo margine di “tolleranza”;
4. attribuire obiettivi mediante un processo continuo di feedback e negoziazione reciproci tra responsabile e collaboratore, in un’ottica di compartecipazione e condivisione;
5. attribuire obiettivi non solo di “risultato” (di tipo economico od operativo) ma anche di “comportamento”, sostenendo al contempo i capi nell’assumersi la responsabilità di valutazioni che, gioco forza, possano (debbano) essere anche qualitative e misurabili solo “soggettivamente” dal capo stesso;
6. attribuire obiettivi spostando al contempo la focalizzazione sui risultati e sul grado di avanzamento degli stessi tramite un monitoraggio costante nel tempo, passando così da un MBO puro ad un più funzionale MBR (Management by Results).

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